Ogni fotografia è un certificato di presenza.
Roland Barthes
Alle SANTE MARIE DEL MARE ogni 24 di maggio si ritrovano dal 1946, in migliaia, Gitani, Manouches, Rom, Sinti o come vi piace di chiamarli.
Nella cittadina della Camargue, mediterraneo francese, perché lì ci sono le loro due Sante Marie insieme alla loro protettrice Santa Sara, detta anche Sara la Nera. Maria di Giacobbe, presunta sorella della Madonna, e Maria Salomé vi arrivarono dalle terre di Palestina con Maria di Magdala, Lazzaro ed altri cristiani iniziando l’evangelizzazione del sud francese.
Anche Sara, forse domestica delle due Marie, si imbarcò fortunosamente sulla navicella, senza remi né vele, camminando, secondo il leggendario, sulle acque con l’ausilio di un mantello steso opportunamente per Lei dall’imbarcazione. In lingua tzigana Sara la nera, cioè Sara-la-kali, significa sia gitana che nera.
Da ciò la tradizione di festeggiare le feste gitane a Saintes Marie de la Mer, toponimo attestato dal 1839, con il rito culminante della processione che vede la discesa in mare del simulacro di Santa Sara, scortata dai gardians, cavalieri camarguensi, e da un colorato folcloristico corteo, con i portatori che s’immergono nelle acque per ricordare la tradizione della Santa venuta dal mare, portatrice della nuova fede, e rinnovare l’unione mistica tra terra e mare e il mito fondativo.
Da circa due secoli la cittadina è meta di pellegrinaggi delle genti nomadi sparse per l’Europa. La Camargue, terra di tori è stata ospitale con i figli del vento, popolo che non si è mai ristretto nei confini di uno Stato. Abili commercianti, domatori di cavalli, artigiani di metalli e pentole, suonatori alle feste e giostrai itineranti, venditori di merceria porta a porta, artigiani del rame e capaci di leggere la mano e fondi di bevande. Alcuni uomini portano i baffi e le donne portano gioielli che rappresentano il “tesoro” del gruppo e vestono abiti colorati, gonne lunghe, fazzoletti annodati sul capo quando si maritano. Molte di esse, con bambini appesi al collo, fanno dell’accattonaggio il loro mestiere.
Il nomadismo come scelta e stile di vita. Una concezione del tempo e dello spazio lontana dalla consuetudine occidentale, origine di incomprensioni e ostacolo a forme di interculturalità.
Comunque alcuni stili di vita originari stanno cambiando, soprattutto tra le giovani generazioni che frequentano le scuole pubbliche, celebrano matrimoni misti con i gagè fondendo così varie culture.
Ma la storia dei gitani è anche storia di grandi misconosciute persecuzioni: al processo di Norimberga non fu ammessa la loro testimonianza nonostante furono massacrati in oltre 500.000 nei lager nazisti.
Gli zingari chiamano se stessi rom, cioè uomo, ma anche marito. Gli altri, i non zingari, sono gagé. Sarà per questo che quando non sono perseguitati, sono ignorati?LORENZO non è un fotografo, nel senso che la sua professione è altra. Ma Lorenzo Spagnolo fotografa da quando è stato affascinato dalla duplicazione artificiosa del reale tanto da rendere l’artificio prossimo alla propria sensibilità. Va in giro con la sua macchina fotografica manuale, fotografa in bianco-nero e trova sempre un posto, in casa, dove approntare una camera oscura provvisoria. Fotografare è una forma di conoscenza apprendendo attraverso un mezzo: è una pratica riflessiva e mediata.
Nelle sue immagini i volti, tanti di bambini, anziani, donne sensuali e mature. Sante che si mischiano con un popolo che scandisce il proprio tempo a suon di musica. Musica vissuta come espressione profonda della loro anima e che celebri musicisti, come Bartok e Stravinsky, hanno incorporato in composizioni rapsodiche e melodiche, mentre la fisarmonica continua ad essere lo strumento preferito e il fuoco il centro e punto di ritrovo per la comunità. I Manouches e i Sinti sono grandi appassionati di musica e compongono famose orchestre tzigane, generalmente idonee per rallegrare i matrimoni e lenire gli strazi dei funerali.
La festa è festa ed è tale quando c’è musica da ballare (Bachofen).
Lorenzo va in giro e scatta, e il reale lo colpisce fino nel fondo là dove risiedono le emozioni e i sentimenti si fanno valori.
Scatta e poi sceglie, e mentre ci narra di una festa di maggio in un certo posto dell’Europa ci racconta, invero, di una storia che non è solo di un popolo ma storia dei popoli. Tutto ciò non è un niente in epoca di omologazione culturale.
Il nomadismo come forma della attuale condiziona; il nomadismo culturale non solo per sfuggire ai meccanismi sociali ma come ricerca di nuova complessità che rischiari orizzonti e dimensioni altre della dignità personale e collettiva.
Così Lorenzo si ritrova alle Santes Marie de la Mer e, come in tutti i veri viaggi, esplora dentro quanto condivide con gli altri. Così, infine, il ritrovarsi di un popolo in raduni annuali, modalità per un’etnia divisa e sparsa di ricostruzione di legami, di conferma di tradizioni, di an-coraggio ad una identità minacciata, offre agli altri gagé l’occasione per ritrovare e ritrovarsi come rom, cioè uomo.
Brindisi, marzo 2005
Emanuele Amoruso