Nell'incontro con il gruppo di Tricase (giovedì 31 gennaio)
ci si è chiesti cos'è "la fragilità". Se è giusto mostrarsi fragili, se è giusto esternare le proprie emozioni e i propri stati d'animo.
ci si è chiesti cos'è "la fragilità". Se è giusto mostrarsi fragili, se è giusto esternare le proprie emozioni e i propri stati d'animo.
Ho trovato questo libro di Vittorino Andreoli , psichiatra dalla folta capigliatura bianca, che tratta il tema della fragilità...
In un'epoca che ha fatto del decisionismo e dell'arroganza delle virtù, sostenere che la fragilità è un valore umano potrebbe suonare come un'eresia. Qualsiasi studioso del comportamento animale potrebbe spiegarvi quanto sia indispensabile la paura per la sopravvivenza, ma ammetterebbe solo controvoglia che quella regola vale anche per noi. Eppure ogni giorno i piccoli passi e le grandi svolte della nostra vita ci insegnano che non sono affatto le dimostrazioni di forza a farci crescere, ma le nostre mille fragilità: tracce sincere della nostra umanità, che di volta in volta ci aiutano nell'affrontare le difficoltà, nel rispondere alle esigenze degli altri con partecipazione, aprendoci - quando serve - al loro dolore. Seguendo le fasi della nostra crescita, Andreoli coniuga i mille volti della fragilità, rappresentandola non come una calamità per sventure, ma come uno scudo che da queste ci difende, perché quello che di solito consideriamo un difetto è invece la virtuosa attitudine che ci consente di stabilire un rapporto di empatia con chi ci è vicino. Con "L'uomo di vetro" Andreoli dimostra, grazie alla familiare immediatezza delle sue parole, una tesi solo in apparenza paradossale: il fragile è l'uomo per eccellenza, perché considera gli altri, suoi pari e non, potenziali vittime, perché laddove la forza impone, respinge e reprime, la fragilità accoglie, incoraggia e comprende.
Poi c'è anche un altro libro che ci conforta di un signore che si chiama Duccio Demetrio, impegnato ad indagare storie e biografie personali, si chiama La vita schiva, il sentimento e la virtù della timidezza, edito nel 2007 da Raffaello Cortina.
La timidezza oggi non è di moda. L'essere timidi è ritenuto spesso uno svantaggio, persino una malattia, una paura di vivere, un sottrarsi alle competizioni. L'aggressività, il farsi largo non le appartengono, non contraddistinguono l'uomo e la donna sempre un po' in disparte, il cui ritrarsi è indizio di pacatezza e riserbo. Questo libro controcorrente non vuole dare consigli per superare un tratto così intensamente umano. Sta invece dalla parte di chi ancora arrossisce, e considera la timidezza una sensibilità da valorizzare, un intreccio di virtù - saper tacere, essere discreti - che si traducono in un modo più luminoso di stare al mondo.
1 commento:
Elogio della fragilità
Nel mondo in cui viviamo sembra essere diventato un imperativo categorico mettersi in competizione piuttosto che cooperare o cercare rapporti che creino uno scambio non solo umano ma anche di competenze. E così molti spingono i loro figli a dare al massimo nel confrontarsi con gli altri. Bisogna non solo essere bravi ma più bravi, non solo intelligenti ma più intelligenti e possibilmente i più intelligenti di tutti. Questo atteggiamento, però, ci avverte la psicologa Vegetti Finzi, ha un rischio perché «avviene a spese del nucleo più profondo e più vero della sua personalità, quello legato alle emozioni e alla creatività, che non ha modo di manifestarsi, soffocato com’è da questo imperativo categorico: “devi essere intelligente, se vuoi essere accettato”. Si tratta spesso di un rischio «differito» che emerge più avanti «quando l’intelligenza non basta più per sentirsi vivi, amati e accettati. Quando si cerca se stessi. E non ci si trova: perché l’intelligenza, appunto, non è tutto nella vita di una persona». Un bambino è in continua crescita, quindi in continuo cambiamento. Quello che è oggi può modificarsi domani, e l’adulto deve aiutarlo a trovare quello che sta cercando senza la fretta di definire chi è e «che cosa farà da grande». In realtà il bambino può essere e diventare molte cose, non siamo noi a dover scegliere per lui, dobbiamo solo aiutarlo a non perdersi. A volte proprio là dove nessuno guarda, i bambini cosiddetti normali i vivono nella paura permanente di “dover essere forti”, “all’altezza” recidendo «ogni legame con le dimensioni della propria fragilità e complessità». Non bisogna considerare la fragilità come una malattia. Bisogna saperci convivere, ma per imparare a farlo non si deve nasconderla, ma si dovrebbe poterne parlare. Solo così la si può affrontare. Non vi pare? E dalla fragilità può nascere la sensibilità che è sicuramente una virtù ormai rara, ma preziosa.
da http://giuba47.blog.lastampa.it
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