junior alla pari

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mercoledì 30 gennaio 2008

Miloud Oukili, clown per amore



A Bucarest fra i bambini di strada

Intervista di Giorgio Innocenti e Antonella Abate
da www.politicadomani.it

Cosa ti ha portato in Romania?
La scoperta della Romania in televisione nell'89, la scoperta che esiste un dittatore e che un popolo cerca di rovesciare, fino a che non lo rovescia quasi in diretta televisiva. A quel tempo io studiavo per diventare attore e clown e mi sono detto " Voglio scoprire cos'è questa Romania, mi vergogno di andare come un uomo curioso: parto come un clown. Per divertire e questo mi permetterà, dopo aver fatto divertire la gente, di fare delle domande".

Quindi non sapevi dei bambini di strada
Quella dei bambini di strada potrebbe essere la favola raccontata da un clown: la pietra che fa l'amore con un fiore e nasce un bambino di strada. Non sapevo dei bambini di strada e, 10 anni dopo, posso dirti che non esistono bambini di strada: esistono bambini persi in strada, bambini dimenticati a casa, bambini che non hanno trovato un'alternativa. Dunque, alternative! Per favore: si tratta di un bambino. Un bambino che vive la durezza della strada, che, secondo me, è accettabile per un adulto, è inaccettabile per un bambino…è una vita d'adulto in un corpo di bambino, una vita di violenza in un corpo d'angelo, una vita dura in un corpo fragile. Puoi stare sicuro che se lasci un bambino in questa realtà a 18 anni sarà un pericolo per se stesso e per gli altri.


Quando sei arrivato eri giovanissimo
Avevo 20 anni. A venti anni alla prima rivoluzione che possiamo fare, partiamo. Anche senza sapere cosa vuol dire. A 31, quanti ne ho oggi, non credo che sarei stato il Miloud dei ragazzi di Bucarest. Sarebbero successe sicuramente altre cose. A 20 anni hai bisogno di provare chi sei. Mi sono messo a pensare che mi sarebbe piaciuto scrivere la storia di un clown che va a vivere dove il sorriso non va. Mi sono detto: "La faccio questa storia! Non la scrivo: la faccio" e la sto facendo.

Com'è stato inizialmente il rapporto con i bambini?
La fortuna del clown è di essere tra il pupazzo e l'attore, è molto vicino al bambino, è attraente. Io sono stato sicuramente il più felice tra tutte le persone che hanno affiancato i bambini in strada perché ero il clown; non ero né il poliziotto che sono abituati a vedere, né la mamma cattiva che li lascia lì, né l'educatore pesante che li obbliga a fare le cose che non vanno loro, ero qualcosa di veramente diverso…cosa fossi non è chiaro.
Ho usato l'esperienza che ho visto negli altri paesi: centri d'accoglienza, equipe di strada e, pian piano, ho cercato di affiancarmi ai ragazzi per capire la loro vita e perché loro capissero la mia.
Usando il clown siamo diventati amici; la convivialità e la confidenza sono stati gli strumenti che hanno permesso la crescita della nostra relazione e questo ha permesso di sapere quali erano le realtà di ognuno e di capire soprattutto che erano tutte diverse: origini, presente e futuro. Abbiamo capito insieme che c'era la voglia di cambiare qualcosa, ma prima di cambiare bisogna capire perché e come. Per nessuno è stato lo stesso percorso e quindi per ognuno è necessario un metodo diverso. Sdrammatizzare, valorizzare, lavorare poi sui difetti e incoraggiare a credere che la vita è la tua vita e che puoi fare tutto ciò che vuoi purché tu lo faccia bene. Che puoi farlo innanzi tutto per te e, subito dopo, puoi renderti disponibile per gli altri.

Ad undici anni da quando sei precipitato in Romania, come ti sembra cambiato il paese?
Io Miloud, clown, francese, algerino, rumeno… non so se ti posso dire precisamente com'è cambiata la Romania. Parada è una delle prime associazioni che sono arrivate a scoprire e a riconoscere che l'infanzia di strada in Romania aveva un grosso disagio, un grosso bisogno e nessuna alternativa. La Romania per fortuna oggi ha delle istituzioni che riconoscono la realtà dei ragazzi e dell'alternativa offerta da Parada.
La situazione rimane drammatica: dopo il sogno della rivoluzione, l'economia non è arrivata, sono passate mille frustrazioni ma i soldi non sono arrivati. Gli stipendi rumeni d'oggi li conosciamo [poco più di 100 euro il salario medio ndr], ho visto un dollaro a 600 lei ... oggi, 11 anni dopo, è a 36 mila lei [il leu è la valuta Rumena ndr], sono spaventato da questo cambiamento.
Sono dispiaciuto molto perché da un anno e mezzo lavoro a Parigi e a Milano, con gli stessi metodi che abbiamo imparato in Romania, per i Rumeni che sono scappati dalla Romania perché non ce la facevano più e sono andati fuori per cercare di cambiar vita. Lì non troviamo i bambini che incontriamo nelle strade di Bucarest, quelli che chiamiamo "i bambini di strada", sono dei bambini che possono diventare bambini di strada se li lasciamo, ma che altrimenti sono bambini di famiglie modeste, educate, pulite. Ci sono la disperazione e la miseria che sono il motore dell'esplosione familiare che spingono i ragazzi a scappare.
Dunque la Romania per Parada è cambiata in positivo, la Romania per l'Europa è ancora in un pasticcio che dura da troppo. Esiste un dipartimento della protezione sociale che riconosce il lavoro che facciamo e che mi aiuta a farlo meglio, riconosce che esiste davvero una cooperazione tecnica tra chi ha il "saper fare" e chi lo può trasmettere.

In strada si può parlare ancora di diritti del bambino?
Stiamo parlando dei diritti dell'uomo o del bambino? A me interesserebbe molto di più capire cosa vuol dire diritto, cosa vuol dire essere adulto, che cosa vuol dire essere bambino.
Non voglio più restituire i diritti all'infanzia: per me l'infanzia non li ha persi, è l'adulto che non li vuole riconoscere. È diverso dover partire dal basso per restituire ... ma cosa dobbiamo restituire? Chi ha rubato i diritti? Nessuno, ma nessuno ha detto ai bambini che ce li hanno. L'applicazione del diritto è molto più interessante ed è il lavoro che stiamo facendo.

Ti sembra che i ventenni d'oggi siano disposti a partire per una rivoluzione?
Io ho avuto la fortuna di fare il lavoro che facevo, che era il clown, e di avere il sogno di mettermi in viaggio ... ho fatto il circo di strada per viaggiare gratuitamente. La chiamata alla curiosità, la chiamata a riconoscere la diversità come una fantasia, come una cosa positiva ti fa sognare di poter fare, come ha fatto Saint-Exupery, il giro del mondo. Io vorrei essere, come personaggio, "il clown viaggiatore" che dal suo aereo salta con il paracadute e lentamente guarda questo mondo e dice: "Ma che cazzo di mondo c'e'?" E dice: "Io sono un clown: lo devo salvare questo mondo!". In realtà a venti anni, quando sono arrivato sulla Terra, mi sono reso conto che ero io che dovevo salvare il mio clown, per me, egoisticamente. E con questo clown cercare degli amici per cambiare il mondo insieme ... da solo mi sono reso conto che ero incapace di fare altro che il clown ... dunque mi sono salvato finalmente.

martedì 29 gennaio 2008

Danilo Dolci: il mondo creatura di creature


Nota Biografica su Danilo Dolci
di Chiara Mazzoleni

da [http://danilo1970.interfree.it]

Intellettuale triestino, nato a Sesana nel 1924, all’inizio degli anni ’50 si stabilisce nella Sicilia più misera, dopo l’esperienza presso la comunità di Nomadelfia, a fianco di don Zeno. Nell’area dei comuni che si affacciano sul Golfo di Castellammare, vicino a Palermo, nel corso degli anni ’50 e ’60, svolge un’attiva opera di intervento sociale per il riscatto delle società locali dalle condizioni di miseria e l’avvio di un’esperienza di sviluppo endogeno orientata verso forme di auto-organizzazione. I principi che informano la sua azione sono sostanzialmente quello della nonviolenza attiva - digiuni, scioperi alla rovescia, “pressioni” sociali etc. - e quello educativo, teso a innalzare il tenore di vita della comunità e a favorire lo sviluppo della cooperazione e di azioni solidaristiche, attraverso la ricerca di un dialogo costante con la società locale. I suoi metodi di lotta nonviolenta, contrassegnati da approdi concreti, diventano ben presto famosi: dal primo digiuno sul letto di un bambino morto di fame (ottobre 1952), al digiuno “dei mille” di Trappeto (nel 1956), che prelude allo sciopero alla rovescia intrapreso per rendere transitabile una trazzera locale, al conseguente primo arresto che mobiliterà i maggiori intellettuali di sinistra in sua difesa.
L’esperienza del Centro per la piena occupazione (poi Centro studi e iniziative) di Partinico, che Dolci fonda con l’aiuto di collaboratori volontari giunti da varie parti d’Italia e dall’estero, è sicuramente una tra quelle più rilevanti di sviluppo di comunità (insieme alle esperienze attivate dal Movimento di Comunità, promosso da Adriano Olivetti) sviluppatesi in Italia nell’immediato dopoguerra. Alla costruzione del progetto comunitario e di pianificazione organica fondata sulla partecipazione e promozione sociale, iniziati da Dolci nel corso degli anni ’50, collaborano attivamente esponenti di diverse discipline (urbanisti-architetti, sociologi, agronomi, economisti etc.), tra i quali Ludovico Quaroni, Carlo Doglio, Bruno Zevi, Edoardo Caracciolo, Giovanni Michelucci, Lamberto Borghi, Paolo Sylos Labini, Sergio Steve, Giorgio Fuà, Giovanni Haussmann, Carlo Levi, Georges Friedmann, Alfred Sauvy.
All’interno di questa esperienza assume connotati peculiari sia il processo di pianificazione dal basso, che si fonda sul lavoro di gruppo e sull’interazione dialogica, sia la traduzione di obiettivi di sviluppo in concrete azioni, secondo una prospettiva pragmatistica ispirata al pensiero di Dewey. Tra le azioni intraprese con il concorso della popolazione e costanti pressioni, la più rilevante è la costruzione della diga sul fiume Jato, opera fondamentale per la valorizzazione delle risorse agricole locali e di conseguenza per l’avvio del processo di sviluppo dell’area. Parallelamente a questa azione si svolge anche lo sforzo incessante di indagine sul contesto, teso da un lato a denunciare le condizioni di vita della popolazione, le situazioni di spreco di risorse (tra le quali soprattutto lo spreco di risorse umane), le collusioni tra mafia e sistema politico, l’assenza di una nozione di diritto e di un ambiente realmente democratico, fondamentali per la costruzione di una società civile, dall’altro a individuare le risorse locali da valorizzare per la promozione di un processo di sviluppo endogeno dell’area. Questo ampio lavoro di indagine sta alla base della proposta di pianificazione organica, avanzata dal Centro studi e iniziative, per lo sviluppo dell’area compresa tra le valli del Belice, dello Jato e del Carboi sconvolta dal terremoto del 1967.
Ciò che distingue maggiormente l’esperienza di Dolci rispetto ad altre di sviluppo di comunità è l’esperienza educativa, di “valorizzazione sociale” fondata sul metodo maieutico, ossia sul reciproco scambio, sulla partecipazione attiva del soggetto e sulla vera comunicazione in grado di aiutare lo stesso - in analogia con l’azione della “levatrice”, , alla quale rinvia il termine maieutica - a ritrovare in se stesso la verità e a farla emergere. Come Dolci afferma «per comunicare è necessario che ognuno sia creativo nell’ascoltare-interpretare, così come nell’esprimersi, non solo verbalmente... per questo non può esistere alcuna [vera] comunicazione di massa».
In questa prospettiva assume aspetti peculiari anche il lavoro di indagine, di interpretazione e di comprensione del contesto locale, che si svolge in particolare attraverso il costante dialogo con la società nella forma delle storie di vita. E appunto queste ultime costituiscono la parte più rilevante e significativa delle indagini sul contesto della Sicilia occidentale, raccolte nei libri-inchiesta più noti di Dolci, i quali avranno un’ampia diffusione anche all’estero. Non solo, il metodo dell’autobiografia costituirà un’anticipazione importante destinata ad esercitare una significativa influenza sugli sviluppi della ricerca sociologica in Italia.
Con la creazione del Centro educativo di Mirto, dall’inizio degli anni ’70, Dolci orienta la propria azione sulla costruzione di un sistema educativo ispirato ai principi dell’attivismo pedagogico, alternativo a quello tradizionale e in questa direzione prosegue la propria esperienza di “valorizzatore” sociale. «Educare un mondo congruo a vivere - come affermerà negli anni ’80 - in cui l’umano uno senta necessario scoprire e attuare un’unità più complessa, forse significa formare laboratori maieutici in cui, valorizzando anche tempi e spazi diversi ognuno possa risultare levatrice ad ognuno... in cui la struttura ambientale condizioni in modo organicamente liberatorio dalle diverse forme di oppressione, ignoranza, ansia, paura, attraverso la continua ricerca». Sull’importanza fondamentale dell’agire comunicativo inteso come il solo ambito nel quale - come afferma Habermas dialogando con Dolci - «la struttura della nostra personalità, del nostro io, si può evolvere poiché il nostro io interiore più profondo è il prodotto di strutture comunicative», si concentra da diversi anni la riflessione e l’impegno di Dolci. Al “manifesto” del comunicare quale legge per la vita, che Dolci propone nella seconda metà degli anni ‘80, aderiscono studiosi di diversa formazione tra i quali, oltre ad Habermas, Noam Chomsky, Lamberto Borghi, Paulo Freire, Johan Galtung, Giovanni Michelucci, Paolo Sylos Labini, Carlo Rubbia, Rita Levi Montalcini.

Breve bibiografia
Tra le opere di Dolci si segnalano in particolare:
Banditi a Partinico, Laterza, Bari 1955;
Inchiesta a Palermo, Einaudi, Torino 1956;
Spreco. Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia Occidentale, Einaudi, Torino 1960;
Verso un mondo nuovo, Einaudi, Torino 1964;
Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974;
(a cura di Dolci), Comunicare quale legge per la vita, Lacaita, Bari, 1995;
La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996.

Sull’esperienza di Dolci e del Centro da lui promosso si rinvia a
G. Spagnoletti, Conversazioni con Danilo Dolci, Mondadori, Milano 1977
C. Mazzoleni, «Un laboratorio di sviluppo comunitario: il Centro per la piena occupazione di Danilo Dolci a Partinico», in Urbanistica, n. 108, di prossima pubblicazione.