junior alla pari

sabato 24 luglio 2010

Come leggere?



Il libro è morto? Viva il libro”.Riflessioni al margine di un libro a venire

Leggere un libro su monitor, kindle, iPad, è un’abitudine entrata a far parte del nostro vivere quotidiano. Chi di voi non ha mai scaricato e letto un testo in PDF? Chi non ha mai letto un articolo, una rivista, un bando da una Gazzetta Ufficiale? Finché l’utilizzo era limitato allo sporadico e a file gratuitamente disponibili in rete, nessuno sembrava preoccuparsi. Oggi però qualcosa è cambiato

134

Luciano Pagano

Scritto a parole è così: centotrentaquattro. Un numero che suo malgrado segnerà una tappa nella storia dell’editoria, così come il 1455 entrò a far parte di questa storia per essere l’anno in cui fu stampata la Bibbia a caratteri mobili di Gutenberg. Spieghiamo meglio. 134 è il numero di ebook che sono stati acquistati negli ultimi tre mesi su Amazon.com contro 100 copie dello stesso libro su formato cartaceo. Ogni 100 copie di un ‘hardcover’ (così si chiama la prima edizione a copertina rigida di un libro) sono state acquistate 134 copie dello stesso libro su formato digitale, leggibile con un computer o meglio ancora con un Kindle, il lettore di ebook creato e commercializzato dalla stessa Amazon. La notizia non ha fatto tremare più di tanto gli editori europei, abituati a rivoluzioni lente e assimilazioni fisiologiche delle novità.
Eppure il dato è importante, specie se si considera che oramai leggere un libro su monitor, kindle, iPad, è un’abitudine entrata a far parte del nostro vivere quotidiano. Chi di voi non ha mai scaricato e letto un testo in PDF? Chi non ha mai letto un articolo, una rivista, un bando da una Gazzetta Ufficiale? Finché l’utilizzo era limitato allo sporadico e a file gratuitamente disponibili in rete, nessuno sembrava preoccuparsi. Oggi però qualcosa è cambiato.
Da tre mesi, su Amazon.com, per ogni 100 lettori tradizionali ci sono 134 neo-lettori che acquistano un libro appena uscito in versione digitale. Ciò vuol dire che gli americani si sono dimostrati ricettivi nei confronti di una rivoluzione culturale che cambierà l’editoria. Cerco di focalizzare qui alcuni punti che depongono a favore di questo fenomeno.

Lo “schermo” e l'ipertesto

Tanto per cominciare la maggior parte delle persone, soprattutto le nuove generazioni, è abituata a trascorrere molto tempo davanti a uno schermo. Che si tratti di un televisore, dello schermo di un palmare, del monitor di un computer o, per spingersi oltre, un iPod, iPhone o iPad che dir si voglia. Ciò significa che leggere un testo in video per qualche decina di minuti non è un’azione inconsueta come poteva sembrare, ad esempio, una quindicina di anni fa. Inoltre i browser e i programmi di videoscrittura ci hanno oramai abituati alla logica degli ipertesti. Il libro tradizionale racchiude al suo interno una selva di rimandi che il lettore può rendere vitali grazie alla propria esperienza, alla cultura e alla sensibilità. Se avessi letto “Delitto e castigo” a otto anni non avrei mai potuto ‘comprenderlo’. Allo stesso tempo non potrei comprendere un’opera come “Arcipelago Gulag” di Solženicyn a prescindere dal contesto storico nel quale è stata concepita.

L’ebook, il libro elettronico, regala immediatamente e a chiunque la possibilità di accedere al testo e all’ipertesto, con la stessa rapidità di accesso del libro tradizionale a chi sia, però, uno studioso. In più la possibilità di disporre di un vasto catalogo, potendoci letteralmente spostare con appresso la nostra libreria, farà di questo oggetto un medium vincente.

Computer “nuvola”

A questo punto vorrei invitare a una riflessione ulteriore. Di recente Microsoft, la casa produttrice di due tra i software più utilizzati al mondo, ovvero sia Windows e Office, sta puntando le sue energie e i suoi investimenti nel settore del Cloud Computing (cloud = nuvola = immateriale). In poche parole in un futuro che è già presente i computer anziché essere equipaggiati da tutta una serie di programmi cui siamo abituati, quali word processor, fogli elettronici, database, non avrà altro che il programma che serve per navigare in rete, ovvero il browser, assieme al cuore del sistema operativo, ciò che basta per accendere un computer e usarlo da subito. I programmi saranno collocati su un server remoto e da lì basterà accedere a tutte le potenzialità con una tecnologia più ‘leggera’. Si tratta di una tecnologia che esiste già da qualche anno grazie a Google Document. Faccio un esempio. Questo articolo è stato creato, scritto e salvato senza l’utilizzo di nessun Word (o software affine) installato sul mio pc, ma solo collegandomi al mio ‘account’ personale di Google. Se applicassimo la logica del Cloud Computing ai libri otterremmo che questi ultimi (anche le nuove pubblicazioni), un giorno, potranno essere consultati e letti con un lettore (Kindle, Computer, iPad etc.) senza nemmeno il bisogno di scaricarli, senza cioè ‘possederli’. Basterà una password di accesso al sito dell’editore per avere la possibilità di leggere il titolo che desideriamo, apporre dei segnalibri, sfogliare quante volte vogliamo il testo da dovunque noi siamo, a prescindere dal mezzo che stiamo utilizzando per navigare, come se il libro non fosse altro che la pagina di un sito accessibile a pagamento. Ciò costituirebbe una rivoluzione del mezzo che si accosterebbe a una rivoluzione dello stesso concetto di proprietà intellettuale.

Nell'immateriale

Non stiamo parlando di futuro, ciò che ho appena scritto è quanto già si può fare con milioni di titoli e riviste presenti su Google Books (tutte le annate di Life, come anche l’archivio storico del Corriere della Sera è online). Per non parlare dei siti di biblioteche francesi o tedesche che hanno già digitalizzato e messo a disposizione innumerevoli manoscritti e codici miniati. Immaginiamo quindi uno scenario attuale nel quale il libro vincitore del prossimo Premio Strega, ad esempio, sarà consultabile direttamente online, pagandone l’accesso e ricevendo una password utilizzabile quando vogliamo, un po’ come se si trattasse del tesserino magnetico di una biblioteca.

Niente libri, niente hard-disk supercapienti da migliaia di terabyte, solo sapere immateriale e immediatamente accessibile. Un po’ come è accaduto con i lettori dvd, che oggi possono essere acquistati a un prezzo di qualche decina di euro superiore al supporto che viene in essi riprodotto, il dvd. Nessuna proprietà estesa a oggetti, ma solo licenze d’uso; sostanzialmente un avvicinamento delle logiche del software a quella che è la modalità di utilizzo dell’opera d’ingegno, fino a poco tempo fa quasi sempre localizzata sul supporto cartaceo di un libro. D’altronde la dicotomia libro-opera non è di molto simile a quella tra software e hardware?

Ci avviciniamo al giorno in cui i lettori di ebook consumeranno poco, saranno maneggevoli, permetteranno di leggere un patrimonio accessibile online, a prescindere che si tratti di un libro acquistato oppure no, e nel frattempo c’è chi continuerà ad acquistare libri per il gusto di leggere e possedere un’opera che sia univocamente legata all’oggetto che la contiene. Il mondo sarà forse popolato da foucaultiani archeologi del sapere, in visita a biblioteche storiche? Ma questa è soltanto una delle sfide che attendono l’editoria al varco del prossimo futuro.

Ciao editore...

La seconda rivoluzione si chiama ‘self-publishing’ (autopubblicazione) e pubblicazione on-demand (trad. ‘su richiesta’). “Lulu” è il nome del sito americano, famoso almeno quanto Amazon.com, che da la possibilità a chiunque di pubblicare e mettere in vendita il proprio libro, realizzato in modo impeccabile. In Italia il sito specializzato che è cresciuto di più negli ultimi due anni è IlMioLibro.it. Ebbene, quest’ultimo ha di recente siglato un accordo con il circuito di librerie e punti vendita Feltrinelli che prevede, tramite il pagamento di un abbonamento annuale, la possibilità di mettere in vendita il proprio libro nel circuito più importante di librerie presente in Italia. Quello che deve fare un autore è semplice, dopo avere scritto e impaginato il libro basta caricare il proprio testo online sul sito, metterlo in vendita e usufruire dell’abbonamento. Dopodiché un lettore che voglia acquistare il libro ha davanti a sé tre scelte. La prima, più semplice, di acquistare il libro online, facendosene recapitare una copia cartacea a casa. La seconda, in linea con quanto scritto sinora, è quella di acquistare a un prezzo di poco inferiore l’ebook dell’opera. La terza, affascinante, è quella di entrare in una libreria Feltrinelli e ordinare il libro che verrà stampato su richiesta e inviato nel punto vendita in due/tre giorni, gli stessi tempi che ci vogliono per far arrivare in libreria un testo già edito da un editore.

Come vedete questa rivoluzione impone riflessioni non solo al sistema editoriale ma anche a quello della distribuzione, centrando sull’autore la possibilità di veicolare la propria opera, e sul suo essere più o meno noto e seguito da un certo numero di lettori. In Italia i Wu Ming sono stati pionieri di questo nuovo sistema editoriale. La loro esperienza è interessante come ‘caso’ anche perché i Wu Ming hanno sempre puntato sulla trasparenza, anche commerciale, delle loro progettualità editoriali. Di recente hanno divulgato il numero di scaricamenti che sono stati effettuati dei loro romanzi. La cosa che si nota subito, cifre alla mano, è la caduta dello spauracchio di ogni editore vecchio-stampo, ovvero sia il terrore che le persone scaricando il libro non vadano a comprare il libro. Le due cose non sono in contrasto, chi legge il libro scaricato desidera proseguire o affiancare la lettura sul supporto cartaceo, “senza spina” come direbbe il mio editore, Cosimo Lupo. Per restare nel nostro ambito cito l’esperienza di Musicaos.it, la rivista elettronica che ho fondato nel 2004 insieme a Stefano Donno e sulla quale pubblicammo ben tre romanzi elettronici, i quali ebbero diverse migliaia di scaricamenti, oltre che un certo riscontro sulla stampa, cartacea e web. Per chi voglia approfondire le implicazioni di questo discorso e del diritto d’autore, suggerisco invece l’acquisto di un libro proprio da Lulu. Il testo si intitola “Perché abolire la SIAE”, l’autore è Salvatore Primiceri, che oltre a essere uno scrittore è anche un editore (Voilier Edizioni).

A ciascuno le sue riflessioni, da questo angolo di mondo chiamato Italia, e nella fattispecie Salento, in cui l’editoria e l’artigianato del libro hanno raggiunto vette superbe e continuano a sfornare opere pregevoli. La mia opinione è che i due strumenti, il nuovo e il tradizionale, si affiancheranno per diversi anni, e non per mancanza di prontezza nella ricezione del nuovo, bensì per una scaltrezza propria di ogni lettore, nel prendere il meglio da ogni ambito.

Gli editori e il mercato potranno dettare tutte le regole, come sempre, ma al lettore spetterà l’ultima parola.

venerdì 2 luglio 2010

Il “digital storytelling” - Le narrazioni digitali

Corrado Petrucco e Marina De Rossi
Narrare con il digital storytelling a scuola e nelle organizzazioni
Carocci (collana Le Bussole).
Storie di vita!

Rinfranca raccontarsi, “esserci” in un tempo in cui la “nebbia” mass-mediale confonde i contorni d'ognuno diventa terapia, cura all'inedia, al “no” che spesso induce a comportamenti spersonalizzanti.
Attraverso la narrazione, utilizzando i linguaggi multimediali, si può cercare di promuovere progetti per educare e formare in modo nuovo, prestando attenzione alle storie che ogni persona, adulto o bambino, vorrà condividere.
Il termine “digital storytelling” si deve a Joe Lambert e Dana Atchley che negli anni '90 realizzarono un sistema interattivo multimediale all’interno di una performance teatrale dove su di un largo schermo sullo sfondo mostrava immagini e filmati di storie di vita.
Il gruppo di artisti, educatori e professionisti della comunicazione che via via si costituì attorno a loro è riuscito negli anni ad allargare i campi di intervento del “digital storytelling” a molti contesti che spaziano dalla scuola alle aziende, dall’arte all’impegno politico.
Il centro da allora ha aiutato molte persone ad utilizzare gli strumenti digitali per raccontare le loro storie di vita, dimostrando che le stesse tecnologie che hanno creato distanza e frammentazione potevano essere usate in modo nuovo per ri-connettere, creare nuovi legami, sentirsi partecipi di una comunità. La narrazione digitale diventa insomma un collante culturale.
Le “narrazioni digitali”
come animazione per contrastare il disagio giovanile
In questo caso il “digital storytelling” si configura come modalità animativa rivolta a ragazzi adolescenti. «Occorre però fermarsi un attimo e riflettere prima su un termine il cui significato viene spesso confuso e sottovalutato: l'animazione.
L'animazione si configura come un'azione che mira ad attivare processualità di autentificazione delle persone (spaziando nei vari contesti, da quelli dell'agio a quelli del rischio e del disagio) in vista di un cambiamento, non solo del singolo ma anche della collettività.
Lavorare sul singolo, sui suoi schemi percettivi, interpretativi e conoscitivi, sui suoi sistemi simbolici e valoriali permette di operare trasversalmente anche nella società.
L'utilizzo di “digital storytelling” abbraccia l'esigenza di dare risposta ad un disagio che investe sia il singolo che la società nell'ottica di un cambiamento o della prevenzione del rischio.
Vecchie e nuove dipendenze, atti vandalici, bullismo, episodi di violenza, eccesso di competizione, formazione di gruppi chiusi che rifiutano le regole del vivere civile, volontà di raccontarsi nell'incapacità di farlo in maniera efficace possono essere alcune delle molteplici problematiche giovanili con le quali ogni società è costretta a confrontarsi.
Talvolta la rete è usata come strumento di divulgazione di episodi negativi che vengono condivisi ampliando la risonanza e, in alcuni casi, incentivando la ripetizione.
Rispondere ad un uso scorretto delle risorse multimediali attraverso il multimediale utilizzato in versione educativa significa promuovere e sostenere un cambiamento singolare e collettivo.
Il “digital storytelling” non è importante solamente per il prodotto al quale si arriva ma soprattutto per il processo messo in atto. Attraverso di esso i comportamenti e le emozioni entrano a far parte dell'esperienza personale generando modalità di riflessione, immaginazione, percezione della realtà, condizionando modi di vivere e rappresentare l'esistenza.
Un “digital storytelling” permette al giovane di far emergere il suo racconto personale, di narrare il suo legame affettivo con persone, situazioni, luoghi consentendo di migliorare la conoscenza di sé, di aumentare la conoscenza del luogo in cui vive e il suo "attaccamento affettivo", di contagiare gli altri membri del gruppo con la propria narrazione emozionale e con essi la comunità in cui vive.
La documentazione attraverso “digital storytelling” diventa anche una valutazione e un riscontro dei progressi che un gruppo o una persona ha fatto nei confronti della sua problematica; certifica una sfida personale e comunitaria di miglioramento e può mettere a disposizione della comunità virtuale la propria esperienza nell'ottica di una diffusione e replicabilità in contesti diversi».
Bibliografia:

lunedì 28 giugno 2010

I RAP di Gregorio



Il RAP, la musica nata a cavallo degli anni '80 nei ghetti americani e che oggi spopola su Mtv e nei lettori MP3 delle nuone generazioni. Qualcosa in più di un semplice stile musicale, questa moderna “poesia orale” ha creato intorno a sè un vero e proprio movimento fatto di usi e costumi. Un sistema internazionale che attraverso le rime dei suoi interpreti parla ad un pubblico sempre più vasto. C'è un libro-ricerca di George Lapassade e Philippe Rousselot RAP, Il furore del dire, ri-edito da be Pres dove i due francesi indagano l'hip hop dalle origini sommerse e circoscritte, fino all'attuale fenomeno di massa.


Di seguito due RAP scritti da Gregorio nella casa di Oberon.



La mia vita

Vi racconto la mia vita
l'ho scritta con una matita
sul libro del dolore ...senza cuore
per far capire alle persone il mio dolore
per far capire alla gente che forse ho ancora un cuore
che non va sprecato ...solo un pò amato


Non vorrei che pensiate che sono un condannato
la mia vita va nell'hip hop
la gente dice ..."guardalo un pò!"
vedono un ragazzo in mezzo alla gente ...succube
e pazzo ...della sua mente
Io ora ringrazio Dio
che mi ha fatto conoscere persone con un cuore d'oro
se ora sono qui ringrazio solo loro
per mia gente il mio futuro sarebbe stato niente
solo odio, solo disperazione ... e niente
Io scrivo quello che penso
per me puoi chiamarlo tempo perso
ma stai tranquillo perchè sai che non ti sento
soprattutto quando giudichi i miei testi
Lo sai che non me ne frega un cazzo se tu protesti
mi chiamo Gregorio un ragazzo come tanti
vivo la mia vita in mezzo a gioie, crisi e pianti
provo pure a non avere dei rimpianti ma qualcosa
mi blocca credo ci vorranno anni
ma tutto passerà e se non passerà
continuerò a rimanere bloccato sul primo piano
con il mio foglio e la matita in mano...

Ho raccontato la mia vita
l'ho scritta con una matita
sul libro del dolore ...senza cuore
per far capire alle persone il mio dolore
per far capire alla gente che forse ho ancora un cuore
che non va sprecato ...solo un pò amato


Buio


Nel buio tu cammini con me
tu sei il motivo per cui sopravvivo ...perchè
mi hai dato un obiettivo, vorrei essere te
non sopporto più la gente quando parla di me.


A 13 anni stavo messo male
vedevo il sole splendere dalla finestra di un ospedale
...dopo qualche giorno ...continuavo a cercarlo
e tiravo a campare fumando droga fino allo sballo
e giorni interi passati tra incubi e deliri
cercando la verità sul fondo di troppi bicchieri,
ricordo l'istante, il primo contatto
e tutte le prime figure di merda che ho fatto.
Ancora, rispetto l'episodio più importante della mia esistenza,
la conoscienza che mi guida in ogni esperienza
con te, sempre insieme, in ogni situazione
mi hai ceduto ogni cosa che ho avuto, compreso il nome
so bene che il mio debito è immenso
ora solo lacrime spese, cercando per il momento solo un senso.

Nel buio tu cammini con me
tu sei il motivo per cui sopravvivo ...perchè
mi hai dato un obiettivo, vorrei essere te
non sopporto più la gente quando parla di me.


Oggi ho 16 anni combatto per me stesso,
adesso ho un obiettivo sopravvivo e aspetto
ricordo ogni frase, in ogni sguardo mistico
perchè se vivo ancora è solo tempo in prestito
Occhi chiusi ...scelgo la giusta direzione
qualcosa sopravvive anche se è a rischio di estinzione
lascio che sia tu a guidarmi
a condurmi altrove
perchè mi aspettano altri dubbi, nuove insidie, altre prove
in mezzo a volti mai visti, trucchi tra illusionisti
ricorda questo: esisto solo perchè esisti.
Passi falsi fatti in luoghi silenziosi
sono le nostre anime unite in simbiosi.

Nel buio tu cammini con me
tu sei il motivo per cui sopravvivo ...perchè
mi hai dato un obiettivo, vorrei essere te
non sopporto più la gente quando parla di me.

domenica 27 giugno 2010

The Twilight Saga

The Twilight Saga

The Twilight Saga: Eclipse
Ecco i vampiri con anima e sentimenti

La maturità è il tema principale che devono affrontare i giovani protagonisti della pellicola
Giuseppe Mammetti

La saga di Twilight torna nelle sale italiane il 30 giugno, con The Twilight Saga: Eclipse, il terzo capitolo della serie. A dirigerlo, dopo i primi due film di Catherine Hardwicke e Chris Weitz, arriva l'eclettico David Slade, già autore dei bellissimi Hard Candy e 30 Giorni di buio. Questa volta, anche per la dolcissima Bella Swan (Kristen Stewart) arriva il momento delle scelte. È divisa tra Edward Cullen (Robert Pattinson) e Jacob Black (Taylor Lautner), fra l'amore per l'uno e l'amicizia per l'atro, pur sapendo che la decisione più naturale è anche la più difficile: se opta per il primo, dovrà diventare un vampiro, barattando la sua vita di sempre per l'immortalità.
Il regista, nel sottolineare le differenze tra questo e i primi due film, parla di Eclipse in termini entusiastici: "Eclipse è una delle storie più diversificate. Credo che New Moon fosse molto sofisticato per la gamma di emozioni tra i personaggi, ma quello che volevo fare con Eclipse, che è composto di tante grandi storie, era di adottare un approccio più cinematografico. Eclipse è un film molto epico e con una grande storia, il libro stesso è molto corposo. In questo senso siamo stati fortunati perché, quando hai una bella storia, gran parte del lavoro è già fatta". Sul piano tematico, come racconta anche la giovane protagonista nell'affollata conferenza stampa di presentazione, nel terzo film abbiamo una svolta fondamentale: la maturità. Gli eroi adolescenti sono cresciuti e devono affrontare i grandi dilemmi della vita, le scelte che possono (e devono) rivoluzionare un'esistenza. Dice il giovanissimo Lautner: "Il mio personaggio ha subito un grande cambiamento. Nel primo film era il classico ragazzo simpatico e senza problematiche, ma in Eclipse è una persona nuova, con grandi problemi ed una vera personalità".
Del resto, a guardarli con attenzione, i personaggi della saga colpiscono soprattutto per la loro normalità. Nessuno dei tre protagonisti - la ragazza, il vampiro ed il licantropo - svetta per capacità particolari e complessità psicologica. Sono dei ragazzi come tanti, alle prese con i problemi e le difficoltà tipiche dei loro coetanei. La loro essenza cinematografica, inoltre, non ha niente a che vedere con l'horror, semmai prende ispirazione dai modelli glamour dei nostri tempi. La loro mostruosità è speculare alla loro bellezza, rivelandosi la carta vincente di un prodotto che stupisce sopratutto per la sua diffusione. Dal 2005, anno di uscita del primo romanzo, la franchise ha venduto milioni di copie, incassando miliardi di dollari tanto in libreria quanto al botteghino. Eppure, tralasciando l'inevitabile vocazione commerciale, la saga ha un grande merito.
Assieme all'Harry Potter della Rowling, gli eroi di Twilight hanno ridisegnato le linee del gotico, che adesso più che mai bussa alla porta dei teenager. Al posto di eroi senza macchia troviamo giovani deboli ed insicuri, che si trovano a combattere, con le stesse armi, un mondo più forte e furbo di loro. Se non fosse per il fatto che gli adulti, ogni tanto, compaiono anche sotto le spoglie di alleati, ce ne sarebbe abbastanza per parlare di conflitto generazionale. Ma, non solo, questi giovani sono precoci e determinati, ed in parte ricordano quel sentimento di emancipazione che i teenager covano sin dalla prima adolescenza. Per i giovanissimi di oggi i vampiri di Twilight sono dei modelli di comportamento, dei simboli dal fascino lampante nei quali rispecchiare la propria immagine personale.
Tra dialoghi ad alto tasso glicemico ed una naturale ingenuità di fondo, questa saga miliardaria colpisce il popolo dei minorenni per la capacità d'immedesimazione che è in grado di scatenare nei ragazzi. Per una volta, dal lato opposto dello schermo, trovano persone come loro, con una psicologia simile e gusti affini, senza l'abituale complessità (spesso forzata) che contraddistingue i giovani volti cinematografici. Twilight, come tanti altri simboli generazionali, è un prodotto massa, e come tale è destinato ad un pubblico indifferenziato. Nessuna pretesa di artisticità, niente che possa, anche vagamente, ricordare i grandi vampiri del passato. Non c'è spazio per gli eredi di Bram Stoker, per le acute riflessioni di Coppola o per le divagazioni drammatiche di Intervista col vampiro di Neil Jordan. Nessuno di loro, neppure il nobile Nosferatu, sembra aver ispirato la genesi di questi mostri da fanzine.
da Il Secolo d’Italia - 19/06/2010

mercoledì 2 giugno 2010

Le mode

"forse è snobberia, ma ho sempre rifuggito dalle mode. anche quando andavo a scuola, anche quando ero adolescente, tendevo a non volere quel taglio di capelli, quel paio di scarpe, quello zaino, quell’atteggiamento. ho sempre temuto l’uniformità, o forse semplicemente non l’ho mai capita.
l’altro giorno in metropolitana vedevo degli adolescenti di oggi, mi affascina sempre osservarli (forse per il mio nuovo – ormai da più di un anno – lavoro). i gruppi di ragazzi è come se fossero ricoperti da una sfumatura che li accomuna: può essere anche solo il colore dei lacci delle scarpe. in questo caso era qualcosa di analogamente impercettibile a uno sguardo superficiale. oltre l’età, avevano in comune la linguetta: sneakers diverse (colorate, bianche, pulite, sporche, di marca o meno), ma tutte con un mega linguettone sparato all’infuori. (e so che definirle in questo modo rileva immediatamente la mia veneranda età). è una cosa tenera da vedere, come gli esseri umani tendano sempre a essere accettati dai loro simili, come fosse un tratto iscritto nel loro dna (anche se immagino che sia sempre pronta, anche tra gli adolescenti, l’altra faccia della medaglia: il rifiuto di quelli che simili non sono), ma ancor più teneri per me sono gli incontri fugaci con gli adolescenti fuori dal coro. tangenzialmente diversi, sempre alla ricerca, ma di lato. senza sneakers con linguettone. poi certo, probabilmente bisognosi di riconoscersi in un piccolo gruppetto di liminari, come probabilmente ero io quando rifuggevo dagli zainetti Camomilla".
dal blog Ferramenta

lunedì 24 maggio 2010

sabato 22 maggio 2010

Tornando indietro...

Racconti/ Rocco Boccadamo, Io sono chi

“Io sono chi”... il titolo attribuito a questa serie di brevi narrazioni realistiche non contiene nulla di misterioso. È semplicemente il risultato della disposizione in ordine inverso delle tre parole del testo (Chi sono io) di un tema svolto da chi scrive in seconda elementare. I racconti promanano dalla nicchia interiore di ricordi lontani e pur tuttavia sempre vivi. Episodi veri, che spero di aver riportato alla stregua di messaggi morbidi e leggeri e, almeno in talune sequenze, con contorni di variopinte e carezzevoli favole.

Frugando tra i ricordi

Nato nel lontano 1941, i miei primi ricordi risalgono, più o meno, a quando avevo tre anni. All’epoca, nelle famiglie del Salento, era in vigore la tradizione di preparare il corredo per le figlie femmine un po’ alla volta, nel corso di lunghe stagioni di paziente e faticosa tessitura a mano.

Per approvvigionarsi della principale materia prima, vale a dire il filato di cotone, la gente del mio paese ricorreva ad un venditore ambu-lante, in gergo “ cuttunaro”, il quale girava attraverso i vari centri abitati a bordo di un calesse trainato da un cavallo bianco e carico di “ballette” – grossi gomitoli – giustappunto di cotone.

Il bravo commerciante era solito annunciare la sua presenza e richiamare l’attenzione della potenziale clientela suonando una trombetta d’ottone luccicante, con cadenzato, prolungato e accentuato rigonfiamento delle gote, una smorfia facciale che restava in me impressa assai più che il resto della scena.

Allora, i bambini non venivano alla luce nelle cliniche o in ospedale come adesso, ma diretta-mente nelle case dei genitori, nel lettone: le partorienti si avvalevano solo dell’assistenza della levatrice e dell’aiuto delle altre donne, già mamme, della famiglia.

Così accadde nel 1944 per la nascita di mia sorella.

La mattina successiva a tale lieto evento, la nonna e le zie, con le quali ero rimasto a dormire per l’occasione, mi condussero a salutare mia madre e a conoscere la nuova arrivata.

Fu per me un attimo davvero importante solle-

vare il lenzuolo sulla piccola culla di legno e scorgere il visetto della neonata: un faccino particolarmente paffuto e rubicondo, al punto da farmi esclamare fra la meravigliata ilarità dei presenti: ”Ma questa bimba assomiglia proprio ad una «cuttunara» (accezione dialettale al femminile di venditore di cotone)!”

Evidentemente, l’immagine del venditore con tromba, sul calesse tirato dal cavallo bianco, doveva occupare un posto dominante nella mia infantile memoria.