di Mauro Marino
Io cresco come un impermeabile così scivolano tutte le cose che mi danno fastidio.
Io vorrei crescere come una spugna, perché così assorbo tutto e non dimentico mai nulla.
Non troveremo la divina ignoranza di una scuola scritta con la “q”, le orecchie d’asino, il dietro la lavagna. Men che meno le bacchettate a palmo aperto, i genitori non lo sopporterebbero, pensate che cosa fanno per un telefonino “sequestrato” o per un voto basso: rimostranze, esposti e anche mazzate quando è necessario. I maestri contano, purtroppo, niente I ragazzi, oggi sono molto svegli, straordinari nell’apprendimento, proiettati già fuori, consapevoli dell’assedio e comunque sedotti. Creature post-moderne con le antenne volte a cogliere ogni novità e ogni conseguente sintesi. “Io cresco perché mi innaffio i piedi la mattina”, sorprendente, si sente una pianta! Lui è un piccolo clown, delicato, ha grande sensibilità nel produrre la sua musica. Muove la mano sui tasti, leggera, fa il suono e aspetta che svanisca per poi scegliere come proseguire. S’incanta a lungo, la musica doma la sua naturale irrequietezza. La tastiera del pianoforte è come una mappa dove cercare stupore. Mi trovo a frequentare una scuola media (o come si dice adesso “scuola secondaria di primo grado”) della città, per un progetto di prevenzione e di sensibilizzazione sui disturbi del comportamento alimentare. Curo la parte creativa di questo lavoro: produrre con i ragazzi una comunicazione utile ai loro coetanei. Uso la conversazione, la scrittura, la poesia, la lettura ed una telecamera. Poche cose, stando attendo a decantare le aspettative da fiction che animano il loro immaginario. Cos’è crescere?, la prima domanda. Poi, cos’è il futuro?, e il corpo?, cos’è il corpo? e i pensieri? Hanno undici anni, sono piccoli, (parola che a loro non piace molto. Allora diciamo che sono ragazzi e ragazze, ma alcuni di loro “piccoli piccoli” e ancora di più se si può dire, bambini, di disarmante leggerezza) quattro prime di media, scelte dopo una indagine preliminare sulla presenza di fattori di rischio su un campione più ampio. Sentite un po’: “Io cresco perché cresco, / come i bianchi fiori di pesco, /io cresco con la voglia / di quando varco la mia soglia, / io cresco suonando il flauto, / che suona calmo, lento e cauto, / io cresco come le corna di una renna, / oh, mannaggia, mi si è scaricata la penna!” Incanto e ironia nei loro versi e anche disincanto quando la rima diventa un incedere rap: “io cresco non imparando idee stupide stupide, io cresco non imparando idee stupide a parte il rap io sono un fallito, a casa tornavo sempre intristito, non sai com’è non sai cos’è ma per una volta ho voglia di studiare con te in modo tale da crescere, imparare, imparare, imparare e diventare qualcuno sai com’è”. Troviamo la fresca consapevolezza che sul limine si confronta con il corpo e con l’invadenza del pensiero, tentando una regola quando leggiamo: “Si cresce commettendo errori, / facendo favori. / Si cresce facendo quello che ami di più, / con o senza bel fisico, non conta molto, / se è un sogno, che in futuro, crescendo, / si riesce a realizzare, mettendoci tutto il nostro impegno. / Per crescere bisogna superare molti ostacoli, / con grande determinazione, perché così si cresce, / anche se si sbaglia, bisogna andare avanti sempre, / senza fermarsi mai.” E il “dover” perché così è, per natura ed il desiderio sotteso di rimanere nell’innocenza del tutto si può dell’infanzia: “Io cresco per tante ragioni: una per diventare più alto, un’altra per diventare più bravo e anche perché qualcuno lo vuole.(…) Io vorrei crescere e non cambiare nulla di me stesso”. Già cambiare, il futuro, il divenire di noi e la responsabilità che col crescere viene. Tra speranze e sogni loro si confrontano al meglio e troviamo veterinari, dentisti, calciatori, molte cantanti per non parlare delle psicologhe. C’è un marine (il fante americano) e un pilota di caccia. Poi anche chi con un carpe diem coglie ilquì e ore: “Io non penso al futuro perché ora è presente, / pensare solo a dopo può servire solo a niente. / Per me oggi è oggi, lo vivo intensamente. / Nessun giorno è un giorno mal andato, / perché un giorno è un giorno e non dev’essere sprecato. / Così si cresce bene pensando solo all’attimo che stai vivendo, / se te ne rendi conto evviva: stai crescendo.” Di contro come non riportare questo vorrei che si trasforma in un convinto…“Io voglio essere ricco sfondato, avere delle belle macchine, una moglie bellissima, un paio di banche nazionali, un palazzo di cinque piani, essere campione del mondo, comprare un grande territorio e farlo diventare una nuova nazione e inviterei tutti i miei amici a viverci”. Determinazione che, un po’ preoccupato gli auguro si avveri. Meno male c’è chi controbilancia ma anche qui, come nell’Italia che viviamo, sconsolata minoranza “Io vorrei crescere per aiutare chi è in difficoltà, dare un rifugio ai senza tetto”. Mai perdere la speranza, però: “Il futuro sarà pure incognito / ma è sempre bello sognarlo / è sempre bello pianificarlo / per poter realizzarlo / anche se è incognito / so che farò qualcosa.” Provo a chiedere come è la scuola che vorrebbero, mi rendo conto di come gli edifici che li accolgono siano inadeguati. Col ricordo vado a Partitico, alla scuola che Danilo Dolci fece costruire, su indicazione dei contadini, su un altopiano che guardava il mare e la valle, ispirata alla circolarità, agli angoli smussati, alla morbidezza del legno vivo, per favorire ed ispirare il reciproco adattamento creativo. O penso, più vicino a noi, alla concreta utopia della scuola elementare di Melpignano con le classi aperte la grande vetrata che guarda all’esterno e il parquet di legno. La realtà è ben diversa: spazi angusti e rimbombanti, arredi antiquati, classi maleodoranti e poco arieggiate, scarsissima manutenzione e nessuna bellezza da rispettare. Spazi di per se diseducativi, vissuti come costrizione dove la routine macina e lievita le farine del dominio “bullista”. Vediamo: “Le prime due ore vorrei stare in una sala molto grande – la sala lettura – dove c’è ogni genere di libro da leggere. Poi la ricreazione. Alla terza ora, botanica: coltivare piante e vedere il loro sviluppo durante le stagioni e prendere appunti; quarta ora una sala piena di animali dove possiamo allevare un cane, un gatto, dargli un nome e addestrarlo, dargli da mangiare, giocare e studiare il loro comportamento. Alla quanta ora sala computer che come libri ci sono i PC dove ci possiamo divertire e possiamo studiare”. Bella no! Di corsa ci andrei anch’io!
Io cresco come un impermeabile così scivolano tutte le cose che mi danno fastidio.
Io vorrei crescere come una spugna, perché così assorbo tutto e non dimentico mai nulla.
Non troveremo la divina ignoranza di una scuola scritta con la “q”, le orecchie d’asino, il dietro la lavagna. Men che meno le bacchettate a palmo aperto, i genitori non lo sopporterebbero, pensate che cosa fanno per un telefonino “sequestrato” o per un voto basso: rimostranze, esposti e anche mazzate quando è necessario. I maestri contano, purtroppo, niente I ragazzi, oggi sono molto svegli, straordinari nell’apprendimento, proiettati già fuori, consapevoli dell’assedio e comunque sedotti. Creature post-moderne con le antenne volte a cogliere ogni novità e ogni conseguente sintesi. “Io cresco perché mi innaffio i piedi la mattina”, sorprendente, si sente una pianta! Lui è un piccolo clown, delicato, ha grande sensibilità nel produrre la sua musica. Muove la mano sui tasti, leggera, fa il suono e aspetta che svanisca per poi scegliere come proseguire. S’incanta a lungo, la musica doma la sua naturale irrequietezza. La tastiera del pianoforte è come una mappa dove cercare stupore. Mi trovo a frequentare una scuola media (o come si dice adesso “scuola secondaria di primo grado”) della città, per un progetto di prevenzione e di sensibilizzazione sui disturbi del comportamento alimentare. Curo la parte creativa di questo lavoro: produrre con i ragazzi una comunicazione utile ai loro coetanei. Uso la conversazione, la scrittura, la poesia, la lettura ed una telecamera. Poche cose, stando attendo a decantare le aspettative da fiction che animano il loro immaginario. Cos’è crescere?, la prima domanda. Poi, cos’è il futuro?, e il corpo?, cos’è il corpo? e i pensieri? Hanno undici anni, sono piccoli, (parola che a loro non piace molto. Allora diciamo che sono ragazzi e ragazze, ma alcuni di loro “piccoli piccoli” e ancora di più se si può dire, bambini, di disarmante leggerezza) quattro prime di media, scelte dopo una indagine preliminare sulla presenza di fattori di rischio su un campione più ampio. Sentite un po’: “Io cresco perché cresco, / come i bianchi fiori di pesco, /io cresco con la voglia / di quando varco la mia soglia, / io cresco suonando il flauto, / che suona calmo, lento e cauto, / io cresco come le corna di una renna, / oh, mannaggia, mi si è scaricata la penna!” Incanto e ironia nei loro versi e anche disincanto quando la rima diventa un incedere rap: “io cresco non imparando idee stupide stupide, io cresco non imparando idee stupide a parte il rap io sono un fallito, a casa tornavo sempre intristito, non sai com’è non sai cos’è ma per una volta ho voglia di studiare con te in modo tale da crescere, imparare, imparare, imparare e diventare qualcuno sai com’è”. Troviamo la fresca consapevolezza che sul limine si confronta con il corpo e con l’invadenza del pensiero, tentando una regola quando leggiamo: “Si cresce commettendo errori, / facendo favori. / Si cresce facendo quello che ami di più, / con o senza bel fisico, non conta molto, / se è un sogno, che in futuro, crescendo, / si riesce a realizzare, mettendoci tutto il nostro impegno. / Per crescere bisogna superare molti ostacoli, / con grande determinazione, perché così si cresce, / anche se si sbaglia, bisogna andare avanti sempre, / senza fermarsi mai.” E il “dover” perché così è, per natura ed il desiderio sotteso di rimanere nell’innocenza del tutto si può dell’infanzia: “Io cresco per tante ragioni: una per diventare più alto, un’altra per diventare più bravo e anche perché qualcuno lo vuole.(…) Io vorrei crescere e non cambiare nulla di me stesso”. Già cambiare, il futuro, il divenire di noi e la responsabilità che col crescere viene. Tra speranze e sogni loro si confrontano al meglio e troviamo veterinari, dentisti, calciatori, molte cantanti per non parlare delle psicologhe. C’è un marine (il fante americano) e un pilota di caccia. Poi anche chi con un carpe diem coglie ilquì e ore: “Io non penso al futuro perché ora è presente, / pensare solo a dopo può servire solo a niente. / Per me oggi è oggi, lo vivo intensamente. / Nessun giorno è un giorno mal andato, / perché un giorno è un giorno e non dev’essere sprecato. / Così si cresce bene pensando solo all’attimo che stai vivendo, / se te ne rendi conto evviva: stai crescendo.” Di contro come non riportare questo vorrei che si trasforma in un convinto…“Io voglio essere ricco sfondato, avere delle belle macchine, una moglie bellissima, un paio di banche nazionali, un palazzo di cinque piani, essere campione del mondo, comprare un grande territorio e farlo diventare una nuova nazione e inviterei tutti i miei amici a viverci”. Determinazione che, un po’ preoccupato gli auguro si avveri. Meno male c’è chi controbilancia ma anche qui, come nell’Italia che viviamo, sconsolata minoranza “Io vorrei crescere per aiutare chi è in difficoltà, dare un rifugio ai senza tetto”. Mai perdere la speranza, però: “Il futuro sarà pure incognito / ma è sempre bello sognarlo / è sempre bello pianificarlo / per poter realizzarlo / anche se è incognito / so che farò qualcosa.” Provo a chiedere come è la scuola che vorrebbero, mi rendo conto di come gli edifici che li accolgono siano inadeguati. Col ricordo vado a Partitico, alla scuola che Danilo Dolci fece costruire, su indicazione dei contadini, su un altopiano che guardava il mare e la valle, ispirata alla circolarità, agli angoli smussati, alla morbidezza del legno vivo, per favorire ed ispirare il reciproco adattamento creativo. O penso, più vicino a noi, alla concreta utopia della scuola elementare di Melpignano con le classi aperte la grande vetrata che guarda all’esterno e il parquet di legno. La realtà è ben diversa: spazi angusti e rimbombanti, arredi antiquati, classi maleodoranti e poco arieggiate, scarsissima manutenzione e nessuna bellezza da rispettare. Spazi di per se diseducativi, vissuti come costrizione dove la routine macina e lievita le farine del dominio “bullista”. Vediamo: “Le prime due ore vorrei stare in una sala molto grande – la sala lettura – dove c’è ogni genere di libro da leggere. Poi la ricreazione. Alla terza ora, botanica: coltivare piante e vedere il loro sviluppo durante le stagioni e prendere appunti; quarta ora una sala piena di animali dove possiamo allevare un cane, un gatto, dargli un nome e addestrarlo, dargli da mangiare, giocare e studiare il loro comportamento. Alla quanta ora sala computer che come libri ci sono i PC dove ci possiamo divertire e possiamo studiare”. Bella no! Di corsa ci andrei anch’io!
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